The boy with the arab strap

Scrivo di musica per Roar Magazine. Ho una pessima considerazione dei vegani musicali.

Adoro sbeffeggiarmi. Detesto le persone senza (auto)ironia.

Mi definiscono cinico. In realtà preferisco pensarmi come un lucido scassamaroni giusto un poco pessimista.

Sono marchigiano, ho vissuto quattro anni a Bologna e cercherò di tornarci ogni volta che potrò.

Vorrei poter guadagnarmi da vivere scrivendo. E’  l’unica cosa che riesco a fare senza sentirmi in colpa con qualcunoqualcosa.

Non sono snob. Avere interessi diversi dall’aperitivo o dalla gita fuori porta la domenica non fa di me un alieno o uno spocchioso.

Ho sempre fatto il tifo per Blur e Radiohead, gli Oasis non meritano nulla di quello che hanno avuto.

Ad ogni modo, in un’immaginaria diatriba tra anglofili ed americani, io mi schiero con i secondi. Sempre.

Non avrò altro Dio al di fuori di Simon Reynolds. Il solo fatto di aver avuto uno scambio di mail con lui per un’intervista che trovate qui mi fa sentire una persona migliore e con un po’ di autostima in più.

Alla domanda “la tua band preferita?” non risponderò mai.

Alla domanda “che genere è?” risponderò con un insulto.

Provare a capire la storia della cultura pop e rock in tutte le sue articolazioni significa capire la storia di una contemporaneità spesso indecifrabile.

La mia lingua è il mio mondo. Quando non posso parlare di qualcosa preferisco tacere. Tutto questo grazie a Wittgenstein.

3 risposte a “The boy with the arab strap

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