Hot Chip e Dntel. Le delusioni digitali della settimana

Hot-Chip-In-Our-HeadsHOT CHIP
In Our Heads
L’amarezza si consuma lungo la A14, quando scelgo il nuovo In Our Heads degli Hot Chip per farmi compagnia durante un (breve) viaggio in auto. L’impressione è che i cinque londinesi siano arrivati a quella stasi creativa che tanto fa paura a noi ascoltatori criticoni. In Our Heads è un onesto disco di synth pop senza fronzoli, nulla di più. Ha ancora qualche slancio melodico degno di questo nome, un paio di trovate assassine (in senso buono), ma per dire “mi piace” bisognerebbe provare ad ignorare i due botti veri degli Hot Chip, ovvero Coming On Strong e The Warning. Dischi che erano riusciti a far apprezzare l’electro anche al popolo delle frangette e degli indie “senza chitarra non so star”. Ecco, oggi quel taglio trasversale fatto di pop caramelloso e canzoni di impianto sostanzialmente “rock” (in senso lato) che tanto piaceva al pubblico del Covo non esiste proprio più. In Our Heads è un onesto album di pop synthetico che prova a riaggiornare l’Eldorado anni ’80. Molto mestiere, poco altro. Potrà piacere ai cultori e ai fan sfegatati, ma insomma: una noia mortale.

dntel-aimlessnessDNTEL 
Aimlessness
Bastassero le melodie, saremmo tutti qui a struggerci di nuovo beatificando Aimlessness come il ritorno del “maestro” Jimmy Tamborello. E invece. Invece non bastano affatto. Perché il nuovo album di Dntel puzza di muffa. Trattasi infatti di una prova di autoconservazione, rievocazione storica di un suono finito nello scantinato già da qualche anno. Se ne sono accorti in molti, lui evidentemente no. Oppure (peggio) Tamborello ha capito che più di questo non riesce a fare, e quindi insiste. Il punto è che la cosiddetta indietronica così come la conoscevamo è morta da un pezzo. Forse già dopo quel piccolo gioiello intitolato Give Up e firmato Postal Service, ovvero lo stesso Tamborello con Ben Gibbard dei Death Cab For Cutie. Anno 2003, perfetta sintesi di madrigali digitali domestici ed forma canzone strutturalmente di impianto (vabè) indie. Quattro anni dopo Dntel pubblica Dumb Luck, sulla scia di un successo forse poco prevedibile (il meglio, comunque, è dentro quel gioiello di Life is Full of Possibilities). E adesso Aimlessness. Che (a posteriori) tradisce ambizioni e senso già dallo stesso titolo: “mancanza di scopo”. Detto che non c’è nulla di male nel voler storicizzare un fenomeno pop di ampia portata come l’indietronica, occorre anche mettersi in testa che farlo così, come se in otto anni non fosse successo nulla, è da ingenui. O presuntuosi. Scegliete voi. Di Aimlessness ho deciso di non salvare nulla. E’ un disco fuori tempo massimo, nulla di più. Come la caricatura di un cadavere. Non proprio il massimo dello stile.